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Asa Chang & Junrai - Kage no nai hito |
Il 2009 è stato un anno ricco di bei dischi. E' naturale dunque che qualcosa sia scappato e che sia giusto recuperare qualcosina anche nel 2010. Ad esempio non sarebbe stupido recuperare questo disco di Asa Chang & Junrai per almeno un paio di motivi. Il primo è che non ci scassano il cazzo con uscite continue (l'ultima fatica era del 2005) e in secondo luogo perchè questi giapponesini sanno bene come far vibrare le corde delle emozioni. Quindi, nel disco, dopo l'intro di "Kotoba wo renko suro to dounarau" si passa a "Kage no nai hito" che da anche il titolo all'album. La canzone è bellissima e vede il duettare tra tablas e voce in un atmosfera molto indiana. |
Scout Niblett - The Calcination of Scout Niblett |
Questo è un disco raro e prezioso. Raro perchè è difficile trovare un disco blues semiacustico di cotanto spessore e prezioso perchè chi fa un disco così non riscia di perdersi tra mode, frizzi e lazzi. L'intro è affidato a Just do it, dove una chitarra elettrica incide con vigore ma estrema discrezione tutto il pezzo. Si prosegue con "Calcination" che ripropone il tema della canzone iniziale. La successiva "I.B.D." ha invece un'impronta più tranquilla e acustica. Con "Bargin" si tocca uno dei punti più emozionanti di tutto il disco e con "Cherry Chick bomb" si entra invece in territori maggiormente elettrici. "Lucy Lucifer" è molto accattivante ed è una nenia voce-batteria. "Duke of anxiety" è un'altro pezzo forte del disco. La canzone è molto lunga e inizia molto acusica per poi trasformarsi nel suo incidere e diventare sempre più tesa sino all'ingresso di batteria e chitarra elettrica arrabbiata. |
I dischi del mese - Marzo 2010 |
Gonjasufi - A sufi and a killer |
Gonjasufi fa uscire il primo capolavoro del 2010. Gonjasufi è Sumach Valentine, un predicatore Yoga, un filosofo, un ex-rapper, un cantore mistico perduto nel deserto del Nevada, tra spiriti e sciamani d'altri tempi. Un musicista dalla doppia anima, vocalist e scultore mush up capace di rapire in un sol colpo la mente e il cuore di tre produttori sacri dell'elettronica odierna: Gaslamp Killer, Flying Lotus e Mainframe. "A Sufi And A Killer" è addirittura commovente per quanto è bello. E' bello perchè riesce a tenere attaccato l'ascoltatore per tutto il tempo, girovagando tra una molteplicità di generi mantenendo sempre una propria identità. Il disco inizia con una litania sciamana che porta subito alla bellissima Kobwebz, ballata spacy con voce filtrata e molta psichedelia. |
Già qui si riesce a capire abbastanza di quello che può Gonjasufi. A seguire una bella Ancestor, ballata con voce sensuale (un po' alla Antony) che si chiude su riverberi dub. E sino a questo punto l'ascoltatore è molto contento. Ma è proprio in questo punto che nel disco potrebbe incepparsi qualcosa. Si perchè la segente Sheep è una nuova ballata (bella senz'altro ma se poi si va avanti così si va a noia) e la successiva She gone è un pezzo pop accattivante ma nulla di più. A peggiorare la situazione segue Suzieq che, secondo me, è il pezzo più brutto del disco. E allora? Allora da qui in poi si ha a che fare solo con dei capolavori tutti in fila uno all'altro. Stardustin fa ritornare indietro a una certa psichedelia (molto disturbata) tipica degli ultimi anni '70. Kowboyz and indians è un capolavoro che vede un coro femminile a sorreggere la melodia, Change è una ballatona notturna e lenta molto fumosa e impreziosita da un po' di glitch a rendere il tutto così retrò. Dust, altra ballatona, non mi fa impazzire ma poi si riprende subito con Candylane che ci riporta a una certa disco anni '80. Poi il botto con il trittico a seguire. Holidays (forse la canzone più struggente degli ultimi anni), Love of reign (dove all'inizio mi sembrava di essere ad Umbria Jazz a sentire gli Scan 7) e Advice dove jazz e musica nera trovano una sintesi eccezionale sono momenti che raramente capita di incontrare. Klowds mi ricorda molto ancora certa psichedelia anni '70, quella che aveva delle influenze tanto asiatiche quanto balcaniche. E non ci si ferma qui, perche con Aiging siamo di fronte a un'ottima interpretazione del blues e con Dednd piombiamo in un synt pop tastieristico ed exotico. Il disco si chiude con Made, soffice ballata in cui fanno la loro comparsa anche i tromboni. Il tutto è assolutamente geniale. May day may day. Imperdibile! |
Il jazz è l'anima portante di questo pezzo ma non mancano aperture più oniriche, quasi alla Pink Floyd. Stew a seguire abbraccia la logica del dub per destrutturarla e infarcirla di elettronica e di quel noise che sarebbe caro anche agli amici Einsturzende. Con "Chesnuts street" si scivola quasi nella canzone popolare europea così come con "Show me the way to go home". L'intreccio di tablas e tecnologia ha sempre contraddistinto la musica di Asa Chang & Junray; in questo caso il connubio è particolarmente riuscito e ci regala un CD che potrebbe essere accessibile anche a chi non è particolarmente avvezzo alle diavolerie giapponesi. Il disco è acquistabile soltanto in mailorder dal Giappone. |
La produzione è di Steve Albini che focalizza il tutto su cantato sensuale e teso di Scoutt che molto spesso si avvicina a quello di P.J.Harvey. La copertina in bianco e nero con Scoutt con il mano una fiamma ossidrica promette tutto ciò che evoca |
Four tet - There is love in you |
Non ho mai dato, probabilmente sbagliando, una giusta rilevanza ai Four tet. Eppure "There is love in you" è proprio un bel disco. |
La prima canzone, "Angel echoes", riesce ad essere accattivante riproponendo in loop su un tessuto elettronico alcuni cut up di voce femminile. "Love cry" ha un ritmo che definirei motivazionale, nel senso che farebbe muovere il piedino anche ai conigli di mia zia. "Circling" mi ricorda molto il miglior Durutti column, con quella dose di modernità in più. In "Pablo's heart" si prosegue in un vortice di stop and go che caratterizzano tutto il pezzo. |
Nella seguente "This unfolds" e in "Emerging" viene a galla qualche germe di dubstep, inevitabile dopo la collaborazione con Burial. "Plastic people" propone una sorta di dancehall casalinga, prima timida e poi ritmata. Un disco per i momenti "trance" della nostra giornata. |
Archie Bronson Outfit - Coconut |
Questo non è un disco bellissimo. Però merita una menzione per una serie di ragioni. Innanzitutto per la canzone iniziale "Magnetic warrior" che è fantastica, tirata e liberatoria, con un po' di feedback qua e la. Un secondo merito del disco è che mantiene un tiro sempre elevato, senza mai dare tregua a chi lo ascolta. Mediamente le canzoni sono più che dignitose. |
I dischi del mese - Aprile 2010 |
Peeesseye/Talibam! - Peesseye/Talibam! |
"Boogie in the breeze blocks" dei Talibam! è stato, secondo me, di gran lunga il disco del 2009. Questo probabilmente non lo sarà , pur restando ad altissimi livelli. Il disco inizia con “You tried (to eat)” che entra di diritto nell’olimpo dei pezzi indimenticabili, straordinari. L’intro psichedelico basato su tastiera che poi si scatena dopo circa 2 minuti con momenti space, echi di dub, Doors sound ed altre diavolerie. Il tutto bellissimo ed emozionante. Il pezzo seguente è quello che mi convince di meno di tutti. “New vitality in the biomass” infatti è un raga elettrico percorso da colpi di batteria ed elettronica varia. Molto trance ma anche un filino ripetitivo. E comunque non sconvolgente come ci si aspetta da dei fuoriclasse. |
Jimi Hendrix - Valleys of Neptune |
Jimi è passato a miglior vita da un bel po’ ma fa ancora il culo a tutti. E Valleys of neptune è assolutamente da ascoltare perchè è veramente un nuovo disco di Hendrix e non un accozzaglia di scarti di produzione. L’intro, “Stone free” è micidiale, ma anche la seguente Valleys of neptune non è da meno e neppure la successiva “bleeding heart”. E potrei andare avanti così sino alla fine. Dalla stampa recupero un po’ di informazioni sui brani: 1) Stone Free: la registrazione originale del 1966 della prima formazione dei Jimi Hendrix Experience è conosciuta come una delle canzoni firmate da Jimi. Nel Jimi Hendrix Experience Box Set del 2000 è presente una versione rifatta dal gruppo originale. Hendrix, Mitch Mitchell e Billy Cox hanno registrato questa versione, diversa, nel maggio 1969. |
2) Valleys of Neptune: il brano è stato registrato nel settembre 1969 e nel maggio 1970. La versione con la band al completo non è mai stata pubblicata prima. Un estratto di un demo di questa canzone con Hendrix e la sola presenza di Mitchell alla batteria e del percussionista Juma Sultan è stato incluso nell’album Lifelines pubblicato dalla Reprise/Polydor e rimasto sul mercato solo fra il 1990 ed il 1992. 3) Bleeding Heart: la cover di un classico blues di Elmore James è completamente diversa da quelle apparse su South Saturn Delta e, originariamente, su War Heroes. La registrazione, effettuata nell’aprile 1969, non è mai stata pubblicata prima e vede protagonisti Jimi, Billy Cox ed il batterista Rocky Isaac. 4) Hear My Train A Comin’: la versione elettrica e con la band al completo è diversa da quella famosa eseguita con la chitarra acustica a 12 corde che appariva nel documentario del 1973 Jimi Hendrix e del relativo album Jimi Hendrix: Blues. 5) Mr. Bad Luck: come Valleys Of Neptune, una versione diversa di questa canzone faceva parte di Lifelines del 1990. Jimi avrebbe poi sviluppato questo brano come Look Over Yonder poi pubblicato in South Saturn Delta. 6) Sunshine Of Your Love: il classico dei Cream, uno dei brani che il gruppo amava suonare dal vivo nel 1969 e che non è mai stato pubblicato prima. 7) Lover Man: Jimi ha registrato molte versioni di questa canzone, comprese quelle incluse nel Jimi Hendrix Box Set e in South Saturn Delta. Questa è una versione completamente diversa registrata nel febbraio 1969. 8) Ships Passing Through The Night: brano mai pubblicato prima e preso dall’ultima session della formazione originale dei Jimi Hendrix Experience del 14 aprile 1969. 9) Fire/Red House: i due brani sono stati registrati dalla formazione originale degli Experience nella stessa session del febbraio 1969. Si tratta degli arrangiamenti che Jimi aveva dilatato per l’esecuzione sul palco, quindi non di ’takes’ alternativi rispetto alle registrazioni originali del 1967. 10) Lullaby For The Summer/Crying Blue Rain: queste registrazioni dell’aprile 1969 della formazione originale dei Jimi Hendrix Experience non sono mai state pubblicate prima. Ascoltate questo disco. Serve a ricordarsi, a 40 anni dalla sua scomparsa, che razza di fuoriclasse era Jimi. |
Vassilis Tsabropoulos - The Promise |
Ogni tanto si sente l’esigenza di cambiare genere. Il problema è che addentrarsi nel mondo classico o della musica colta non è semplice perchè non si conoscono bene gli autori e perchè in genere questa musica è piuttosto ostica anzichè no. Eppure questo disco di Vassilis Tsabropoulos è molto bello, molto più classico di quello che potrebbe essere un disco di musica moderna ma molto più moderno dei dischi classici tout court. In "The Promise" emerge una morbidezza che genera tranquillità. E’ una musica "discreta", che entra in punta di piedi nei cuori di chi è disposto a rallentare e a fermarsi un attimo a guardare cosa succede fuori dalla finestra. Per poi dire: ma chissenefrega, torno a letto.... |
Tsigoti - Private poverty speaks to the people of the party |
Vociare sparso, intro piano batteria a illuminare il silenzio, voce ubriaca in perfetto stile noir americano. Ma chi cazzo sono questi Tsigoti? E' una punk band di improvvisazione collaborativa dedicata ad esprimere opposizione alla guerra ai regimi autoritari ed agli estremismi religiosi violenti. E' composta da elementi provenienti da due diversi contenenti (Europa-America) che esprimono una grande esperienza e varietà di situazioni musicali. Il loro primo album si è concretizzato l'anno dopo la guerra tra Libano e Israele del 2006 prende spunto da quel conflitto ma parla della guerra in generale. Alcune canzoni sono state scritte in poche ore e senza prove hanno registratoil loro primo album "TheBrutalRealityOfModernBrutality" in 3 giorni. Si sono incontrati di nuovo quest'anno per registrare il secondo album "Private Poverty Speaks To The People Of The Party", suonare davanti ai propri entusiasti sostenitori. |
Circulasione totale orchestra - Bandwidth |
Quando ci si trova di fronte a un triplo CD un po’ tremano le gambe. Come cazzo è che un gruppo pensa che sia intelligente fare uscire un triplo nel 2010? Quanto dura il disco, come il Don Giovanni? Quanto costa il cofanetto 70€? In effetti sono tutte domande lecite che trovano risposta nel fatto che quando sarete di fronte all’ascolto di Bandwidth non ve ne fregherà più nulla nè della durata nè del prezzo. Si perchè questa orchestra di 15 elementi riuscirà a trasportarvi in un mondo parallelo capace di provocare gioia, stupore e dolore. A capo del tutto c’è Frode Gjerstad, sassofonista e clarinettista norvegese. Il disco non è di facile ascolto ed è meglio prenderlo a piccole dosi. |
Wadada Leo Smith - Spiritual dimensions |
Questo disco, come quello precedente rientra all’interno della categoria “cose eccezionali cui bisogna trovare un po’ di tempo per dedicare un po’ di spazio”. Spiritual Dimensions si divide nelle due anime di Wadada. Da un lato il Golden Quintet, squisitamente acustico, dall'altro il gruppo Organic, che esplora e rilegge, con risultati di straordinario impatto, l’opera davisiana degli anni Settanta. Astrazione e profonda tradizione africana-americana si confrontano specularmente. Il Golden Quintet (con Vijay Iyer al piano e al sintetizzatore, John Lindberg al contrabbasso e Pheeroan Ak Laff e Don Moye alla batteria) viene colto in un'esibizione dal vivo nel 2008 ed è eccezionale. |
Speed caravan - Kalashnik love |
Gli Speed caravan sono un combo con sede a Parigi capitanato da Mehdi Haddab, campione dell’oud (liuto arabo) elettrico e con una band in cui si alternano Erik Marchand, Rachid Taha e alcuni membri di Asian Dub Foundation. Prima degli Speed caravan, Mehdi avava già collaborato con EKOVA e DUOUD con Jean Pierre Smadja. Il disco inizia con una breve intro di oud che culmina in “Kalashnik love”, brano musicale con un ritmo indiavolato arabeggiante per poi proseguire con la cover di “Killing an arab” che rimane abbstanza fedele all’originale e che è sempre bellissima (uno dei migliori pezzi dei Cure). Anche la cover di “Galvanize” dei Chemical brother è molto azzeccata e trascinante (quasi come l’originale). Il CD è pervaso per tutta la sua durata di un pachugo di rock punk e dance orientale a rendere il tutto molto piacevole ed orecchiabile. Tra i pezzi migliori “Erotic chiftelli”, “Daddy lolo” e “Aissa wah”. |
Fucked up - Couple tracks |
Un bel disco di hardcore punk era un po’ che non lo ascoltavo. Un po’ perchè il genere è stantio, un po’ perchè sono io ad avere virato un po’ rotta. Fattostà che questo CD riporta indietro di un bel po’ di tempo e contempla tutti gli elementi che devono avere dei bei pezzi hardcore: cattiveria, batteria sorda e ritmo. Il disco dura un pochetto perchè è doppio e sinceramente mi sa che è un po’ difficile iniziare e finire tutto di un fiato. I pezzi però sono belli quasi tutti e quindi ascoltarne qualcuno in modalità random fa sempre un bell’effetto. La voce di Pink Eyes è perfetta per il genere e riesce ad elargire potenza in tutto il disco. HC Punk’s not dead. |
Pit er pat - The flexible entertainer |
Mi piacciono i Pit er Pat. Li trovo abili nel proporre canzoni pop intriganti. Questo disco, che peraltro non è piaciuto molto alla critica, aumenta un po’ il ritmo delle canzoni e la cosa non mi dispiace affatto. Il Gruppo pesca un po’ qua e la e infarcisce poi di quel tocco particolare che li rende riconoscibili e personali. Prendiamo ad esempio Emperor of charms o Specimen, accattivanti e squisitamente pop. Oggi la band di Chicago si è ridotta a un duo (Fay Davis-Jeffers, tastiere e voce; Butchy Fuego, batteria, voce) dopo la dipartita del bassista Rob Doran. Speriamo che continuino ad avere il coraggio di continuare a cambiare e che non si fossilizzino su uno stile che se proposto a lungo può diventare ripetitivo. |
Odd clouds - Deceiving illusion |
Lunghe suite avant rock jazz in cui perdersi. Pochi fronzoli. Etichetta: “not not fun”. Se siete quindi dei fan dei Gipsy king state almeno a due chilometri di distanza da questo disco. Non fa per voi. A cominciare dalla copertina. L'album è composto da sei pezzi (tutti senza titolo) che vedono la presenza di tromboni, sassofoni e corni su base psych. |
Con “Everything for everyone” si risale di tono però si rimane all’interno della sperimentazione più pura. Quindi fischi chitarristici e sibili si rincorrono su un noise di sottofondo impreziosite dopo 2 minuti e mezzo da voce luciferina recitante filtrata e distorta. Non prorio di facile ascolto diciamo. Con “A grey mountain of human shit” si ritorna invece sui livelli eccellenti (e accettabili) di psichedelia hard. Il pezzo è molto più tirato di quello in apertura e sfocia spesso nel free, però ha un fascino tutto suo, della contorsione (e poi la batteria fa cose egregie). Si finisce con “Year of the moral orgy” che inizia molto pacata, quasi a voler smorzare i toni, per proseguire poi con maggiore ritmo ed intensità. In certi momenti ricorda “The end”. Insieme al pezzo di apertura è la cosa migliore del disco. Leggo poi che nella versione in doppio vinile c’è un pezzo lungo e molto bello che chiude il disco (il che mi sembra un po’ una cazzata, ma mi fido) Avete quindi capito che Peesseye/Talibam! è un disco diverso e più ostico rispetto a “Boogie”. Con vette elevatissime e altrettanti meandri osticissimi. Dei Talibam! non dico nulla perchè penso che già li conosciate. In caso contrario sappiate che è peccato mortale e quindi cercate di regolarvi. Questo disco però non me la sentirei di consigliarlo a tutti. |
Ma anche il secondo pezzo è intrigante, personale, ritmato, accattivante. E il terzo, “They make them for they”, lo è ancor di più. Molto bene. Adesso vediamo se sanno mantenersi sulla lunga distanza. E la risposta è si. “Thers is a simplified response” mantengo alto il tasso alcoolico e la percezione di essere dentro un film poliziesco è confermata da “The sickofwar traine” ed “Everybody settle down” Non manca anche qualche momento di maggiore riflessione come “(we) would you if you could” e “Dust to people to ashes”. La sorpresa del mese. |
Io credo però che in questi progetti che partono da una concezione ampia del jazz e la personalizzano imbastardendola con mille sottogeneri, siano tra le cose migliori che ci siano oggi in circolazione (vedi anche Sao Paulo underground giusto per fare un esempio). |
Come lui stesso dice: "ho ascoltato i suoni dei grilli, degli uccelli, il turbinio del vento che s'avvinghia, le onde che si espandono e che si schiantano sulle rocce, l'amore del tuono e la bellezza che s'impone prima e durante il fulmine, la fatica delle anime nel mondo sofferente, i momenti di consapevolezza, di unicità, di realtà in tutto ciò che crea e contribuisce alla pienezza della mia musica, il suono, il ritmo che è oltre e nell'oltre, ecco ciò che cerco attraverso qesta preziosa e gloriosa arte dei neri, questa musica improvvisata che vedo, sento, che esplode dentro di noi nel mondo, che viene condotta a noi da tanti altri mondi differenti e che si conserva intatta nell'universo attraverso le nostre menti." Il capitolo del Golden Quintet si chiude con "South Central L. A. Kulture" e con la stessa composizione si presenta, dal vivo nel 2009, il gruppo Organic, in cui Smith -come in opere discografiche quali Yo Miles! e Sky Garden, in compagnia di Henry Kaiser- rievoca l'amata figura di Miles Davis e la sua musica nel cosiddetto periodo "elettrico". |
Tre o quattro chitarre elettriche (oltre a Nels Cline, di rilievo il lavoro di Brandon Ross e Michael Gregory), un violoncello (Okkyung Lee), un contrabbasso, un basso elettrico (Skuli Sverrisson, già direttore musicale di Laurie Anderson e componente di gruppi come Pachora e AlasNoAxis) e una batteria (Pheeroan AkLaff) Il gruppo è capace di riportare in vita lo spirito di Miles con una musica che sprigiona funky da tutti i suoi pori. Esaltante ed appagante. |
La Francia ci ha già abituato a contaminazioni di vario tipo. Questa può essere annoverata tra quelle meglio riuscite. |
I brani sono poi manipolati con filtri ed effetti, e il risultato è un libero e bizzarro universo fatto di cartoonish jazz, rumore e collisioni di suoni. Un disco di questo tipo non è classificabile come ambientale e si avvicina più all’improvvisazione jazz che ad altri generi. Quantomeno come approccio filosofico. Però, nella sua ruvidità risulta affascinante e si meriterebbe un qualcosina di più che essere utilizzato come sottofondo mentre si legge un libro, foss’anche di Edgar Allan Poe. |
I dischi del mese - Maggio 2010 |
Mi Ami – Steal your face |
I Mi Ami sono la prosecuzione del viaggio iniziato dai Black eyes, band di Washington in giro dal 2001. La formula musicale proposta oggi è però differente da quella di inizio millennio. I Black eyes proponevano un miscuglio di noise e free-jazz su basi che pescavano dalla neo new-wave sino ad arrivare ai Fugazi, mentre i Mi Ami sono più orientati verso un punk funk (alla “!!!” e “Rapture” ma più sporchi) e verso certa psichedelica. Ciò che vale per tutte e due le formazioni è che, la loro, è musica libera non necessariamente ingabbiabile nella forma canzone. Tutto il disco propone un ritmo sostenuto con il basso e le percussioni sempre in evidenza. |
I pezzi proposti sono solamente sei e almeno quattro sono fantastici. Ad iniziare dal ritmo tirato di “Latin lover” dove la base ritmica fa la parte del leone (secondo me il pezzo migliore del CD) e proseguendo con “Dreamer”, alquanto psichedelica ed evocativa dei Doors più malati. “Slow” è una super suite di 8 minuti e mezzo che inizia lenta e si “complica” nel suo procedere. Oggi la formazione è composta da Daniel Martin-McCormick (chitarra, voce), Jacob Long (basso) e Damon Palermo (batteria). Mi piace molto il loro approccio free alla musica e il cantato sofferto e sguaiato. Quando si alza il volume diventano irresistibili. |
Hector Zazou, Barbara Eramo, Stefano Saletti – Oriental night fever |
Ve li ricordate i Nouvelle Vague che rifacevano alcuni pezzi della storia del rock? “Guns of Brixton” o “Making plans for Nigel”? Adesso Hector Zazou fa lo stesso con i pezzi storici della disco music e li ripropone in versione exotica e semiacustica. Hector Zazou è nato in Algeria da padre francese e madre spagnola. Il compositore, produttore e arrangiatore vanta una lunga e prestigiosa carriera all’insegna dell’eterogeneità stilistica, tra generi musicali disparati: rock negli anni ‘60 con il gruppo dei Barricades, elettronica nei ‘70 con il duo ZNR, al fianco di Joseph Racaille, musica africana negli anni ‘80 in collaborazione con musicisti come Papa Wemba e Bony Bikaye. |
Nel decennio successivo una serie di album concept dedicati al canto polifonico di tradizione corsa Les Nouvelles Polyphonies Corses, con la partecipazione di Ryuichi Sakamoto, Manu Dibango, John Cale e Jon Hassell, alle musiche del deserto Sahara blue, con Khaled, David Sylvian, Bill Laswell, Dead Can Dance e l’attore Gérard Depardieu, alla musica folkloristica dei mari del Nord Chansons des mers Froid, con Björk, Suzanne Vega, Siouxsie, Jane Siberry e Värttina, alla musica sacra irlandese del dodicesimo secolo Lights in the dark, con la partecipazione di Peter Gabriel, Mark Isham e Carlos Nuñez, oltre che di numerose cantanti locali di musica tradizionale. Negli ultimi anni ha collaborato, in ambito elettronico, con la cantante americana Sandy Dillon, 12 Las Vegas is cursed, e produzioni discografiche per conto di artisti come il galiziano Nuñez, la cantante tibetana Yungchen Lamo, la uzbeka Sevara Nazarkhan e i PGR di Giovanni Lindo Ferretti e Ginevra de Marco Sul disco troverete “Stayin’ alive” e “Night fever”, “Ring my bell” e “Y.M.C.A.”, “You make me feel” e “I will Survive”. I riferimenti sono dunque Donna Summer, Village People, Bee Gees, Sylvester, Trammps, Gloria Gaynor, Blondie, Chic e Anita Ward. |
Chiaramente queste uscite non lasciano il segno nel tempo ma permettono di godere di quell’attimo di leggerezza che ogni tanto, per svariati motivi, è necessaria. Meglio Zazou che la montagna di spazzatura che invade le radio libere (?) italiane. |
Jahcoozi - Barefoot wanderer |
Questo è un bel disco di dub-disco. Moderno e sotterraneo. Il gruppo è composto da Sasha Perera (cingalese di Londra), Robert "Robot" Koch (berlinese) e Oren Gerlitz (nato a Tel Aviv). Sasha è la voce - ma anche l'immagine - del gruppo, Robot e Oren si occupano delle basi, produzioni e basso elettrico rispettivamente. Barefoot wanderer è il loro terzo album, e presenta uno stile essenziale a partire dall'iniziale "Barefoot dub" e proseguendo con la bellissima "Zoom in fantasize". "Powerdown blackout" è invece un pezzo hip hop senza infamia e lode (con più infamia direi). Nulla di che anche per il seguente "Close to me" che rimanda a un passato non proprio esaltante. Poi il disco esplode. |
"Lost in the bass" farebbe la felicità di Lee Perry e la seguente "Speckles shine" è un ottimo esempio di duetto maschile-femminile in dub (raro da trovare). "Read the book" infarcisce la base dub di elettronica e suona assai sexy. Con "C" si assiste a una sorta di ragamuffin underground di ottima fattura e "Barricades" incorpora strane glitherie che rendono il pezzo notturno e ambiguo (così come la conclusiva "Wasteland"). Un disco da sentire in macchina. In autostrada. Di notte..... |
Rupa & the april fishes - Este mundo |
Alzi la mano a chi piace Manu Chao. Bene. Per tutti voi ecco un disco che vi farà impazzire, zeppo di patchanka, come direbbe lui. Rupa e la sua band provengono dalla San Francisco Bay Area e dal loro curriculum si evince che hanno fatto da apripista per i concerti del già citato leader dei Mano negra, dei Gogol Bordello e dei Beirut. Probabilmente è intrecciando i suoni delle band di Manu, di Eugene Hutz e di Zac Condon che si possono rintracciare i fili della matassa sonora di questa band. L'album e zeppo di ritmi latini, atmosfere parigine, chitarre in levare, ritmi dispari, trombe rubate a un combo di mariachi messicani e profumi zingari. Musiche senza confini che attraversano, correndo, nazioni, lingue e stili musicali. |
A cominciare da "C'est moi" (sembra scritta da Manu Chao), proseguendo con il ritmo de "La frontera". "La linea" presenta un reggae-dub con violini e trombe (?!?). Il disco è tutto godibilissimo e ottimamente prodotto. E' strano pensare che questo sia un gruppo americano. Va beh, sono di San Francisco, però.... |
Bei Bei & Shawn Lee - Into the wind |
Ci mancava la recensione di un disco cinese. O meglio il disco di una ragazza cinese residente in California, amante del groove di Shawn Lee e con la musica di Dorothy Ashby ed Alice Coltrane nel cuore. A queste passioni Bei Bei ha aggiunto degli altri ingredienti in egual dose: un po' di hip hop, un po' di jazz elettrico e un po' di sensibilità soul caratterizzando tutti questi stili con il Guzheng, uno strumento tradizionale Cinese (simile all'arpa) con più di 2000 anni di vita. E' strano ascoltare questo disco che suona insieme moderno e tradizionale. Forse un filino composto per la musica che circola in giro oggi. Però emerge un non so che di mistico e orientaleggiante. |
E in certi momenti si potrebbe pensare di volare tra gli alberi e di essere un maestro di Kung-Fu |
Malachai - Ugly side of love |
Un bellissimo disco che ci riporta un po' indietro nel tempo. Il gruppo viene da Bristol e sin dal pezzo introduttivo "Warriors" si capisce che ci si trova di fronte a gente che sa scrivere canzoni. "Shitkicker" è un potenziale hit che avrò sentito 100 volte. Con "Snake chamber" ci si cala in una psichedelia sognante e stravolta e con snowflake sembra di ascoltare gli Who di Tommy. MOJO li ha nominati “stand-alone Bristol sensation" ed effettivamente ci azzecca in pieno. Questo suono un po' retrò non deve far però pensare a un disco "vecchio". In realtà Malachai sono un ibrido che sta da qualche parte tra Public Image Ltd e Tricky pescano dal repertorio di Morricone ma anche da UNKLE e Boards of Canada, l’uso delle voci è un chiaro omaggio a Horace Andy e il risultato finale è un incrocio tra Beck e i Kinks |